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»Begleittext«


Was nimmt man mit auf eine Reise – was bringt man davon heim?

Eine Reise zeigt dem Reisenden einen Ausschnitt eines zumeist noch unbekannten Territoriums; die Fotografie zeigt dem Betrachter einen Ausschnitt der Sicht des Fotografen. Zeichnungen berichten abstrahierend über herausgelöste Details und Stimmungen; ein Video ist nicht mehr als sich bewegende Bilder. Worte und Wörter können von etwas erzählen, sie können die Welt beschreiben.

Eine Reise kann man sorgfältig planen und dabei wichtige Stationen entlang einer Route im Voraus bestimmen. Man kann sich überlegen, was man von zu Hause mitnimmt, welche Utensilien generell unentbehrlich sind und welche man sich nur hinsichtlich der Gegebenheiten des Bestimmungsortes neu beschafft und dorthin mitnimmt. So trennt man das Vorher und das Nachher einer Reise scharf voneinander ab und verwischt dennoch alte Grenzen — man könnte meinen, man selbst sei stets das Zentrum der Erfahrungen und bliebe dabei unverändert – im besten Fall unsichtbar für alle anderen, als ob man gar nicht anwesend sei und nichts im unbekannten Gefüge durch seine bloße Präsenz ändere.

Manche Dinge sind ihrem Wesen nach universell, lediglich ihre Erscheinungsform variiert. Und doch ist man immer wieder geneigt, genau jene allgemein zugänglichen Dinge zu bevorraten und auf minimale Unterschiede großen Wert zu legen — weil man unsicher ist, ob es sie woanders auch geben wird und sie einzeln betrachtet gar nicht ins Gewicht fallen, werden sie zu festen Determinanten des Reisenden. So schafft man sich ein wohl sortiertes Repertoire zukünftiger Erfahrungen, geht vermeintlichen Risiken vorsichtshalber aus dem Weg und polstert sich aus vielen unbemerkten Einzelteilen ein bequemes Wahrnehmungskissen aus. Man transportiert nicht nur seinen eigenen Körper in ein neues Territorium, auch all die kleinen Sicherheiten des Alltags hängen ihm dabei unausgesprochen an. Das ist ganz natürlich. Das macht einen aus.

Irgendetwas nimmt man immer mit. Irgendetwas bringt man immer mit. Die in der Vergangenheit liegenden subjektiven Eindrücke bleiben für die Mehrzahl der Daheimgebliebenen nicht nachvollziehbar, sofern sie nicht selbst wieder über Grenzen hinweg übertragen werden: Berichte, Bilder, Aufzeichnungen können Auskunft geben und funktionieren als niedergeschlagene Vermittler zwischen Zurückgekehrtem und nicht Losgegangenem. Oft sind in solchen Souvenirs noch nicht (gänzlich) ausgesprochene, nur angedeutete Ideen und Eindrücke verborgen, die sicher auch der Situation des Fremdseins an einem fernen Ort und innerhalb einer unbekannten Kultur geschuldet sind. Mühelos verschlägt die Unsicherheit einem die Sprache. So muß man wieder Erklärungen abgeben, Ergänzungen vornehmen, Worte neben Bilder stellen, Bilder neben Wörter.

Gäbe es nur einen einzigen Menschen auf der Welt (vielleicht ist es der Allerletzte), würde es Sinn machen von ihm als Reisenden zu sprechen?

Nicht nur können Bilder als von (noch) unausgesprochenem Text betrachtet werden, sie können auch als von unartikulierbarem Text umgeben bezeichnet werden. Wenn Bilder Wörter provozieren, sind es solche, dem Bild unsichtbar angehängte und stets teilhafte Wörter oder gar beliebige? Ist das defizitäre Bild mit den richtigen Wörtern wieder leicht zu korrigieren oder zu vervollständigen? Wenn anders gesagt, Worte Bilder aufspringen lassen, sind sie dann deren kausaler Ursprung? Ist dies nicht dieselbe Bewegung: einmal vorwärts und einmal rückwärts? Gäbe es die Extreme einer solchen Beziehung von Bild und Wort, ließe sich auch eine ungefähre Mitte ausmachen, oder nicht? Doch was soll dann dort sein?

Die Frage nach dem generellen Modus oder dem ungefähren Spektrum der Artikulation von Gedanken mittels eines geschriebenen Textes reflektieren zu wollen, scheint mühselig. Dies mit Bildern tun zu wollen, scheint auch nur einer beliebigen Ersetzung gleichzukommen; fern jeder

Entweder–Oder–Entscheidung kommt man immer wieder an der gleichen Stelle vorbei, die man vorher schon oftmals passiert hatte und wird leicht schwindelig wieder weggeschickt. Um was kreisen wir?

In manchen Sprachen fallen das Erscheinungsbild des Gegenstandes mit dem Zeichen der Schrift zusammen — ein ganz und gar magischer Gedanke.

Am Anfang stand die Idee eines Künstleraustausches zwischen Leipzig und Rom – schließlich wurde es eine halbjährige Reise. Viel freie Zeit, mediterranes Klima, weitere Reisen in das Umland und nach Sizilien - und dies ist nun der Rest, welcher sich davon in Bildern und Aphorismen zeigt. Diese Zusammenstellung ist auch eine Möglichkeit des Zurückblickens auf eine scheinbar unbeschwerte Zeit, welche vor einer einschneidenden und schicksalhaften Veränderung allgegenwärtig war; ein Manifest des Erinnerns, eine Vergewisserung der eigenen Anwesenheit in einem paradisieschen aber fremden Zwischenzustand.

Das Ausgangsmaterial dieser 2008 in Italien entstandenen Reisenotizen war eine vollgepackte Tüte von zu Hause mitgebrachter Discount-Kleinbildfilme, welche mit einer Minox belichtet wurden, dazu kamen vor Ort gekaufte oder gefundene Notizbücher, loses Zubehör aus zumeist asiatischen Ein-Euro-Läden und ein ca. 15-minütiges Video, welches mit einer Foto-Digitalkamera gemacht wurde.


Cosa si recepisce da un viaggio – cosa di esso si riporta con sé a casa?

Un viaggo mostra ad un viaggiatore degli scorci di un territorio a lui in gran parte sconosciuto. Una fotografia mostra ad un osservatore uno scorcio della veduta del fotografo. I disegni sottolineano immaginificamente dettagli e sensazioni; un filmato non è niente di più che una serie di immagini in movimento. Parole e lessemi possono raccontare qualcosa, possono descrivere il mondo.

Un viaggio si può pianificare dettagliatamente stabilendo in anticipo le fermate lungo il tragitto. Si può riflettere su cosa portarsi dietro da casa, quali sono gli oggetti ai quali non si può rinunciare in generale, e quali bisogna procurarsi in base alle circostanze inerenti al viaggio ed alla meta. In tale occasione si traccia in modo netto un solco tra il prima ed il dopo. Con ciò vengono tuttavia spazzati vecchi confini – si potrebbe essere dell'avviso che si è noi stessi il centro di gravità permanente delle esperienze, incondizionatamente – nel migliore dei casi non visibilmente agli occhi altrui, come se non se ne sia per niente consci, e nel legame ignoto niente muti per la sua mera presenza.

Alcune cose sono universali nella loro essenza, varia semplicemente la rappresentazione. Tuttavia si tende sempre a dare spazio esattemente a quelle cose generalmente valide, ed a dare grande importanza a differenze minime – perché si è insicuri; e se queste si ripresenteranno altrove, e considerate singolarmente non hanno alcun peso, diventano determinanti del viaggiatore. Così ci si procura un repertorio ben sortito di esperienze future, rimuovendo prudentemente dal proprio cammino eventuali rischi, e si crea una coperta protettrice da piccole pezze inosservate. Non si trasporta semplicemente il proprio corpo in un altro territorio, ma anche tutte le piccole certezze del quotidiano seguono a corte. È più che normale. È costituente.

Ci si porta sempre qualcosa dietro. Si porta sempre qualcosa. Nel passato risiedono impressioni soggettive che restano inosservate dalla maggior parte di coloro che permangono nella propria sede finché non vengono essi stessi trasportati oltre i confini: resoconti, immagini, registrazioni possono dare indizi, e funzionano da tramite fra chi rientra e chi non è partito. Spesso in questi souvenir si celano idee ed impressioni solo accennate e non esplicitamente espresse, dovute sicuramente anche all'estraneità di un luogo lontano immerso in una cultura sconosciuta. L'incertezza ingarbuglia la lingua senza troppa fatica. Percui sono necessarie postille allegate, integrazioni e spiegazioni ulteriori, didascalie a margine di immagini ed immagini a margine di didascalie.

Se ci fosse un solo uomo al mondo (forse l'ultimo superstite) avrebbe senso parlare di lui come di un viaggatore?

Non solo si può pensare alle immagini come a testi non ancora estrapolati: esse si possono anche immaginare come ammantate da un testo inesprimibile. Se le immagini stimolano parole, non sono esse parole complementari e invisibilmente incatenate all'immagine, se non proprio indeterminate? Possono delle carenze di un'immagine essere sopperite da delle parole appropriate? Se in altre parole, delle definizioni suscitano l'idea di un'immagine, non sussiste dunque un rapporto causale? Non è questo lo stesso meccanismo: una volta verso una direzione e un'altra in quella opposta? Se ci fossero gli estremi di un tale rapporto tra immagine e parola, sarebbe possibile individuare il centro approssimativo del legame? E se sì, dove sarebbe questo centro?

Pare che porsi la questione sulla modalità generale o sull'ampio spettro di articolazione dei pensieri tramite un testo scritto sia una scelta insita di problemi. Farlo con le immagini sembra non esserne che l'occasionale ripiego; lungi da ogni decisione univoca sembra di essere costantemente di passaggio davanti allo stesso posto al quale si è spesso stazionati per rifuggirlo poi nuovamente in modo smanioso. Intorno a cosa ci aggiriamo?
In alcune lingue si trova una corrispondenza tra l'impatto visivo di un oggetto e la sua rappresentazione scritta – un'idea decisamente magica.

All'inizio c'era l'idea di uno scambio artistico tra Lipsia e Roma – è diventato in conclusione un viaggio di mezzo anno. Molto tempo libero, clima mediterraneo, viaggi ulteriori nel circondario e per la Sicilia – e questo è quanto ora ne resta, visibile in immagini ed aforismi. Questa rassegna è anche la possibilità di dare uno sguardo indietro ad un periodo apparentemente sereno, accompagnato costantemente da una fatidica svolta decisiva; un manifesto del ricordo, la presa di coscienza di trovarsi in un intervallo paradisiaco ma estraneo.

Il prodotto di questo diario di viaggio in Italia nel 2008 era una busta piena di pellicole prese in un discount, portate da casa, ed esposte con una Minox, in più diari comprati o trovati sul posto, accessori vari presi prevalentemente in tutto-a-un-euro asiatici e un video di circa 15 minuti girato con una fotocamera digitale.